8 dicembre 1980. Assassinato John Lennon.

La sera dell’8 dicembre di 44 anni fa, a Manhattan, Mark Chapman esplose cinque colpi di pistola contro John Lennon, anima dei Beatles la più famosa band della storia del rock, l’uomo che aveva cantato la rivoluzione dei suoni e delle anime.
Era stata una bella giornata per John. Concesse una lunga intervista, era contento delle ultime ore passate a registrare musica. “L’ultima volta che vidi John aveva quel suo incredibile sorriso sulla faccia”, ripete ogni volta il produttore Jack Douglas. L’ultima canzone a cui aveva lavorato era Walking on Ice. “Era elettrizzato, e lo era anche Yoko, perché noi tutti sapevamo di aver fatto un buon lavoro sulla canzone. Lo accompagnai fino all’ascensore e lo salutai augurandogli la buonanotte. Circa quaranta minuti dopo la mia ragazza mi raggiunse allo studio, pallidissima, – l’hanno appena detto alla radio – mi disse – hanno sparato a John”.
L’album da solista Double Fantasy era stato pubblicato neanche tre settimane prima delle pistolettate di Chapman: ancora oggi è un classico imprescindibile, forse al pari dei più classici degli album dei Beatles. Era quasi una febbre quella che portò Lennon a sfornare le nuove canzoni. Pezzi come Watching the Wheels, come Woman e, soprattutto, come l’incredibile Just Like Starting Over: il verso “sarà come ricominciare daccapo” sembra un beffardo paradosso del destino, oppure una verità ancora più profonda.
Poi, a tradimento, arriva l’8 dicembre. Sul perché di questa morte i dubbi sono infiniti. Ma sul fatto che quest’assassinio abbia scolpito nel marmo quanto sia stato e rimanga cruciale per l’identità di milioni di persone la figura di John Lennon ed il passaggio dei Beatles sulla crosta terrestre non ci sono dubbi.
Oggi come quarantaquattro anni fa quel che rimane sono le immagini delle decine di migliaia di persone assiepate a Central Park e in altre decine di città del mondo a cantare le sue canzoni, a scandire “all we are saying, is give peace a chance”. Immagini destinate a finire negli album fotografici del Novecento, accanto all’attentato di Sarajevo che apre la via alla prima guerra mondiale, a Hitler e gli orrori del Terzo Reich, al ritratto di Einstein, alla bomba atomica di Hiroshima, all’uccisione di JFK a Dallas, al primo uomo sulla Luna, alla caduta del Muro di Berlino.
Alle 22.51 dell’8 dicembre 1980, con una copia di Il Giovane Holden in mano, Chapman si era avvicinato a John per dire la frase che si era tenuto dentro da chissà quanto tempo: “Ehi, mister Lennon, sta per entrare nella storia”.
Poi cinque colpi di pistola.
Quella sera venne colpita al cuore un’utopia, ma anche un modo di vedere e di vivere il mondo.
LPP
La sera dell’8 dicembre di 44 anni fa, a Manhattan, Mark Chapman esplose cinque colpi di pistola contro John Lennon, anima dei Beatles la più famosa band della storia del rock, l’uomo che aveva cantato la rivoluzione dei suoni e delle anime.
Era stata una bella giornata per John. Concesse una lunga intervista, era contento delle ultime ore passate a registrare musica. “L’ultima volta che vidi John aveva quel suo incredibile sorriso sulla faccia”, ripete ogni volta il produttore Jack Douglas. L’ultima canzone a cui aveva lavorato era Walking on Ice. “Era elettrizzato, e lo era anche Yoko, perché noi tutti sapevamo di aver fatto un buon lavoro sulla canzone. Lo accompagnai fino all’ascensore e lo salutai augurandogli la buonanotte. Circa quaranta minuti dopo la mia ragazza mi raggiunse allo studio, pallidissima, – l’hanno appena detto alla radio – mi disse – hanno sparato a John”.
L’album da solista Double Fantasy era stato pubblicato neanche tre settimane prima delle pistolettate di Chapman: ancora oggi è un classico imprescindibile, forse al pari dei più classici degli album dei Beatles. Era quasi una febbre quella che portò Lennon a sfornare le nuove canzoni. Pezzi come Watching the Wheels, come Woman e, soprattutto, come l’incredibile Just Like Starting Over: il verso “sarà come ricominciare daccapo” sembra un beffardo paradosso del destino, oppure una verità ancora più profonda.
Poi, a tradimento, arriva l’8 dicembre. Sul perché di questa morte i dubbi sono infiniti. Ma sul fatto che quest’assassinio abbia scolpito nel marmo quanto sia stato e rimanga cruciale per l’identità di milioni di persone la figura di John Lennon ed il passaggio dei Beatles sulla crosta terrestre non ci sono dubbi.
Oggi come quarantaquattro anni fa quel che rimane sono le immagini delle decine di migliaia di persone assiepate a Central Park e in altre decine di città del mondo a cantare le sue canzoni, a scandire “all we are saying, is give peace a chance”. Immagini destinate a finire negli album fotografici del Novecento, accanto all’attentato di Sarajevo che apre la via alla prima guerra mondiale, a Hitler e gli orrori del Terzo Reich, al ritratto di Einstein, alla bomba atomica di Hiroshima, all’uccisione di JFK a Dallas, al primo uomo sulla Luna, alla caduta del Muro di Berlino.
Alle 22.51 dell’8 dicembre 1980, con una copia di Il Giovane Holden in mano, Chapman si era avvicinato a John per dire la frase che si era tenuto dentro da chissà quanto tempo: “Ehi, mister Lennon, sta per entrare nella storia”.
Poi cinque colpi di pistola.
Quella sera venne colpita al cuore un’utopia, ma anche un modo di vedere e di vivere il mondo.
LPP