7 aprile 1926. Muore Giovanni Amendola, l’uomo dell’Aventino.

Giovanni Amendola nasce a Episcopio di Sarno il 15 aprile 1882.
Fin da piccolo si trasferisce con la famiglia a Firenze, dove il padre presta servizio come carabiniere.
Durante l’adolescenza si sposta a Roma, dove inizia a interessarsi alla politica e si iscrive alla gioventù socialista.
Nel 1898 viene arrestato per aver tentato di impedire la chiusura della sede romana del Partito Socialista.
L’incontro con la teosofia e la massoneria
In gioventù si avvicina alla teosofia e alla Società Teosofica, frequentando la loggia “Dio e Popolo” diretta da Isabel Cooper Oakley.
Approfondisce il pensiero esoterico e impara l’inglese e il francese, ma successivamente abbandona il movimento.
Nel 1905 entra nella massoneria, per poi uscirne nel 1908.
Nello stesso periodo conosce Eva Kühn, con cui si sposa e costruisce una famiglia numerosa.
I primi passi nel giornalismo e nella filosofia
Tra il 1907 e il 1909 collabora con riviste moderniste come “Leonardo” e “Il Rinnovamento”.
Si laurea in filosofia con una tesi su Kant e pubblica articoli letterari con lo pseudonimo di Manfredo.
Nel 1911 fonda la rivista “L’Anima” insieme a Giovanni Papini.
Avvia la carriera accademica a Firenze e Pisa, ma nel 1914 lascia l’università per dedicarsi definitivamente al giornalismo.
Viene assunto alla redazione romana del “Corriere della Sera”, con cui avvia un lungo sodalizio.
La guerra e l’impegno politico
Allo scoppio della Prima guerra mondiale sostiene l’intervento italiano contro l’Austria-Ungheria.
Si arruola volontario e combatte come tenente di artiglieria sul fronte dell’Isonzo.
Riceve una medaglia al valor militare.
Nel dopoguerra diventa protagonista del dibattito politico e contribuisce al Patto di Roma del 1918.
Nel 1919 viene eletto deputato nel collegio di Salerno con il partito “Democrazia Liberale”.
La fondazione de “Il Mondo” e l’opposizione al fascismo
Nel 1922 fonda il quotidiano “Il Mondo”, che diventa una voce autorevole del liberalismo democratico.
Entra nel governo Facta come ministro delle Colonie, ma lascia poco dopo l’incarico per fondare il “Partito Democratico Italiano”.
Dopo la marcia su Roma del 1922 si oppone fermamente al regime di Mussolini.
Sulle colonne del suo giornale denuncia con chiarezza la natura totalitaria del fascismo.
Subisce minacce, aggressioni e una brutale bastonatura da parte di squadristi nel dicembre 1923.
La secessione dell’Aventino
Nel 1924, dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti, promuove la “Secessione dell’Aventino” con altri esponenti dell’opposizione.
Sostiene la necessità di una risposta parlamentare forte e non violenta contro il fascismo.
Rifiuta ogni forma di compromesso con il regime e denuncia la repressione delle libertà civili.
Collabora con Benedetto Croce alla stesura del Manifesto degli intellettuali antifascisti.
Il pensiero democratico e la critica al comunismo
Amendola si oppone non solo al fascismo, ma anche al comunismo.
Propone una terza via democratica e liberale, capace di includere i ceti medi e le regioni del Mezzogiorno.
Difende la sovranità popolare e la legalità costituzionale, rifiutando ogni forma di dittatura.
Critica duramente la polarizzazione politica tra fascismo e bolscevismo.
L’aggressione di Pieve a Nievole e il declino della salute
Nel luglio 1925 subisce un nuovo agguato da parte di squadristi nei pressi di Montecatini Terme.
Viene colpito al volto e alla testa, riportando ferite gravi.
Nei mesi successivi le sue condizioni di salute peggiorano.
Si trasferisce a Parigi e poi a Cannes per curarsi, ma le conseguenze dell’aggressione si rivelano irreversibili.
La morte e i funerali di Giovanni Amendola
Giovanni Amendola muore il 7 aprile 1926 nella clinica Le Cassy Fleur di Cannes. Aveva solo 43 anni.
In un primo momento viene sepolto in Francia, sotto una lapide che recita: “Qui vive Giovanni Amendola… aspettando”.
Nel 1950 la salma viene traslata in Italia e sepolta nel Cimitero di Poggioreale a Napoli.
La sua morte scuote il mondo politico e culturale italiano.
Nel secondo dopoguerra, il processo sull’attentato viene riaperto, ma si conclude nel 1950 con l’assoluzione degli imputati per insufficienza di prove.
Giovanni Amendola nasce a Episcopio di Sarno il 15 aprile 1882.
Fin da piccolo si trasferisce con la famiglia a Firenze, dove il padre presta servizio come carabiniere.
Durante l’adolescenza si sposta a Roma, dove inizia a interessarsi alla politica e si iscrive alla gioventù socialista.
Nel 1898 viene arrestato per aver tentato di impedire la chiusura della sede romana del Partito Socialista.
L’incontro con la teosofia e la massoneria
In gioventù si avvicina alla teosofia e alla Società Teosofica, frequentando la loggia “Dio e Popolo” diretta da Isabel Cooper Oakley.
Approfondisce il pensiero esoterico e impara l’inglese e il francese, ma successivamente abbandona il movimento.
Nel 1905 entra nella massoneria, per poi uscirne nel 1908.
Nello stesso periodo conosce Eva Kühn, con cui si sposa e costruisce una famiglia numerosa.
I primi passi nel giornalismo e nella filosofia
Tra il 1907 e il 1909 collabora con riviste moderniste come “Leonardo” e “Il Rinnovamento”.
Si laurea in filosofia con una tesi su Kant e pubblica articoli letterari con lo pseudonimo di Manfredo.
Nel 1911 fonda la rivista “L’Anima” insieme a Giovanni Papini.
Avvia la carriera accademica a Firenze e Pisa, ma nel 1914 lascia l’università per dedicarsi definitivamente al giornalismo.
Viene assunto alla redazione romana del “Corriere della Sera”, con cui avvia un lungo sodalizio.
La guerra e l’impegno politico
Allo scoppio della Prima guerra mondiale sostiene l’intervento italiano contro l’Austria-Ungheria.
Si arruola volontario e combatte come tenente di artiglieria sul fronte dell’Isonzo.
Riceve una medaglia al valor militare.
Nel dopoguerra diventa protagonista del dibattito politico e contribuisce al Patto di Roma del 1918.
Nel 1919 viene eletto deputato nel collegio di Salerno con il partito “Democrazia Liberale”.
La fondazione de “Il Mondo” e l’opposizione al fascismo
Nel 1922 fonda il quotidiano “Il Mondo”, che diventa una voce autorevole del liberalismo democratico.
Entra nel governo Facta come ministro delle Colonie, ma lascia poco dopo l’incarico per fondare il “Partito Democratico Italiano”.
Dopo la marcia su Roma del 1922 si oppone fermamente al regime di Mussolini.
Sulle colonne del suo giornale denuncia con chiarezza la natura totalitaria del fascismo.
Subisce minacce, aggressioni e una brutale bastonatura da parte di squadristi nel dicembre 1923.
La secessione dell’Aventino
Nel 1924, dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti, promuove la “Secessione dell’Aventino” con altri esponenti dell’opposizione.
Sostiene la necessità di una risposta parlamentare forte e non violenta contro il fascismo.
Rifiuta ogni forma di compromesso con il regime e denuncia la repressione delle libertà civili.
Collabora con Benedetto Croce alla stesura del Manifesto degli intellettuali antifascisti.
Il pensiero democratico e la critica al comunismo
Amendola si oppone non solo al fascismo, ma anche al comunismo.
Propone una terza via democratica e liberale, capace di includere i ceti medi e le regioni del Mezzogiorno.
Difende la sovranità popolare e la legalità costituzionale, rifiutando ogni forma di dittatura.
Critica duramente la polarizzazione politica tra fascismo e bolscevismo.
L’aggressione di Pieve a Nievole e il declino della salute
Nel luglio 1925 subisce un nuovo agguato da parte di squadristi nei pressi di Montecatini Terme.
Viene colpito al volto e alla testa, riportando ferite gravi.
Nei mesi successivi le sue condizioni di salute peggiorano.
Si trasferisce a Parigi e poi a Cannes per curarsi, ma le conseguenze dell’aggressione si rivelano irreversibili.
La morte e i funerali di Giovanni Amendola
Giovanni Amendola muore il 7 aprile 1926 nella clinica Le Cassy Fleur di Cannes. Aveva solo 43 anni.
In un primo momento viene sepolto in Francia, sotto una lapide che recita: “Qui vive Giovanni Amendola… aspettando”.
Nel 1950 la salma viene traslata in Italia e sepolta nel Cimitero di Poggioreale a Napoli.
La sua morte scuote il mondo politico e culturale italiano.
Nel secondo dopoguerra, il processo sull’attentato viene riaperto, ma si conclude nel 1950 con l’assoluzione degli imputati per insufficienza di prove.