6 aprile 1912. Muore Giovanni Pascoli, il poeta del Decadentismo.

Giovanni Pascoli nasce il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna.
È il quarto di dieci figli di una famiglia benestante, legata alla nobiltà locale.
Fin dalla giovinezza, la sua esistenza è segnata da tragedie familiari.
Il 10 agosto 1867, suo padre viene assassinato in circostanze mai chiarite.
Questo evento traumatico lascia in Giovanni una ferita profonda, che riaffiora costantemente nella sua produzione poetica.
Seguono altri lutti devastanti: la morte della madre, di alcuni fratelli e della sorella Margherita.
Pascoli cresce dunque immerso in un dolore che lo accompagna per tutta la vita.
Gli studi e la formazione con Carducci
Nonostante le difficoltà economiche, Pascoli studia con determinazione.
Frequenta il liceo classico e poi si iscrive all’Università di Bologna.
Qui diventa allievo di Giosuè Carducci, che ne riconosce presto il talento.
Si laurea con una tesi sul poeta greco Alceo e comincia a insegnare latino e greco nei licei.
Durante gli anni universitari si avvicina agli ambienti anarchico-socialisti.
Partecipa a manifestazioni, scrive versi a favore di Passannante e viene arrestato nel 1879.
L’esperienza del carcere lo sconvolge ma non lo spezza.
Riprende gli studi e si dedica sempre più intensamente alla letteratura.
Il nido: simbolo e rifugio
Dopo la laurea, Pascoli insegna in diverse città: Matera, Massa, Livorno, Messina, Pisa e Bologna.
Nel 1895 si stabilisce a Castelvecchio, in Toscana, insieme alla sorella Maria, detta Mariù.
Qui ricrea il “nido”, simbolo poetico di protezione dagli orrori del mondo.
Questo microcosmo familiare diventa il centro della sua poetica e della sua vita.
La casa di Castelvecchio rappresenta un rifugio esistenziale e creativo.
È il luogo dove Pascoli si dedica con passione alla scrittura e alla contemplazione della natura.
Il dolore privato si sublima in versi che parlano all’animo umano universale.
Il fanciullino e la rivoluzione poetica
Nel 1897 Pascoli pubblica Il fanciullino, manifesto della sua poetica.
Secondo questa visione, ogni uomo conserva dentro di sé un “bambino” capace di stupore e meraviglia.
Solo il poeta riesce a dare voce a questo fanciullo interiore.
La poesia diventa allora uno strumento di scoperta, consolazione e verità.
Pascoli rifiuta il razionalismo del positivismo e abbraccia l’intuizione e il simbolismo.
Rappresenta la realtà attraverso dettagli minuti, suoni, colori e immagini della natura.
La sua scrittura rompe gli schemi classici, predilige il verso breve, musicale, frammentato.Con Myricae, Canti di Castelvecchio e i Poemetti, dà nuova linfa alla lirica italiana.
Una voce solitaria nel Decadentismo
Pascoli è considerato uno dei massimi poeti decadenti italiani.
Tuttavia, si distingue dai suoi contemporanei per la visione intimista e domestica.
Pur influenzato da autori europei e simbolisti, rimane profondamente legato alla tradizione italiana.
Non cerca l’estetismo di D’Annunzio, ma una poesia semplice, sincera, spesso intrisa di dolore e compassione.
Nei suoi versi risuonano il mondo contadino, le voci degli animali, il rumore della natura.
Pascoli crede nella funzione morale della poesia, capace di elevare e consolare l’uomo.
Il suo è un decadentismo umanistico, volto a dare senso e ordine al caos dell’esistenza.
L’impegno civile e patriottico
Negli ultimi anni, Pascoli mostra anche un volto più civico e impegnato.
Partecipa al dibattito politico e culturale dell’Italia post-unitaria.
Nel 1911 scrive il poema Inno a Roma e pronuncia il celebre discorso La grande Proletaria si è mossa, a favore dell’impresa coloniale in Libia.
Non è un nazionalista nel senso tradizionale, ma un idealista che crede nella missione civilizzatrice del paese.
Mantiene, tuttavia, sempre un forte spirito pacifista e solidaristico.
Nel suo cuore alberga la speranza in un mondo più giusto e fraterno.
La morte e i funerali di Giovanni Pascoli
Nel 1912 la salute di Pascoli peggiora rapidamente.
Soffre di cirrosi epatica, forse aggravata da un tumore allo stomaco.
Il 6 aprile, Sabato Santo, muore nella sua casa di Bologna, in via dell’Osservanza.
Ha appena compiuto 56 anni.
La sorella Maria veglia su di lui fino all’ultimo istante.
Pascoli viene sepolto nella cappella annessa alla sua casa di Castelvecchio Pascoli.
Accanto a lui riposerà anche Mariù, sua fedele compagna di vita e curatrice delle sue opere.
Giovanni Pascoli nasce il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna.
È il quarto di dieci figli di una famiglia benestante, legata alla nobiltà locale.
Fin dalla giovinezza, la sua esistenza è segnata da tragedie familiari.
Il 10 agosto 1867, suo padre viene assassinato in circostanze mai chiarite.
Questo evento traumatico lascia in Giovanni una ferita profonda, che riaffiora costantemente nella sua produzione poetica.
Seguono altri lutti devastanti: la morte della madre, di alcuni fratelli e della sorella Margherita.
Pascoli cresce dunque immerso in un dolore che lo accompagna per tutta la vita.
Gli studi e la formazione con Carducci
Nonostante le difficoltà economiche, Pascoli studia con determinazione.
Frequenta il liceo classico e poi si iscrive all’Università di Bologna.
Qui diventa allievo di Giosuè Carducci, che ne riconosce presto il talento.
Si laurea con una tesi sul poeta greco Alceo e comincia a insegnare latino e greco nei licei.
Durante gli anni universitari si avvicina agli ambienti anarchico-socialisti.
Partecipa a manifestazioni, scrive versi a favore di Passannante e viene arrestato nel 1879.
L’esperienza del carcere lo sconvolge ma non lo spezza.
Riprende gli studi e si dedica sempre più intensamente alla letteratura.
Il nido: simbolo e rifugio
Dopo la laurea, Pascoli insegna in diverse città: Matera, Massa, Livorno, Messina, Pisa e Bologna.
Nel 1895 si stabilisce a Castelvecchio, in Toscana, insieme alla sorella Maria, detta Mariù.
Qui ricrea il “nido”, simbolo poetico di protezione dagli orrori del mondo.
Questo microcosmo familiare diventa il centro della sua poetica e della sua vita.
La casa di Castelvecchio rappresenta un rifugio esistenziale e creativo.
È il luogo dove Pascoli si dedica con passione alla scrittura e alla contemplazione della natura.
Il dolore privato si sublima in versi che parlano all’animo umano universale.
Il fanciullino e la rivoluzione poetica
Nel 1897 Pascoli pubblica Il fanciullino, manifesto della sua poetica.
Secondo questa visione, ogni uomo conserva dentro di sé un “bambino” capace di stupore e meraviglia.
Solo il poeta riesce a dare voce a questo fanciullo interiore.
La poesia diventa allora uno strumento di scoperta, consolazione e verità.
Pascoli rifiuta il razionalismo del positivismo e abbraccia l’intuizione e il simbolismo.
Rappresenta la realtà attraverso dettagli minuti, suoni, colori e immagini della natura.
La sua scrittura rompe gli schemi classici, predilige il verso breve, musicale, frammentato.Con Myricae, Canti di Castelvecchio e i Poemetti, dà nuova linfa alla lirica italiana.
Una voce solitaria nel Decadentismo
Pascoli è considerato uno dei massimi poeti decadenti italiani.
Tuttavia, si distingue dai suoi contemporanei per la visione intimista e domestica.
Pur influenzato da autori europei e simbolisti, rimane profondamente legato alla tradizione italiana.
Non cerca l’estetismo di D’Annunzio, ma una poesia semplice, sincera, spesso intrisa di dolore e compassione.
Nei suoi versi risuonano il mondo contadino, le voci degli animali, il rumore della natura.
Pascoli crede nella funzione morale della poesia, capace di elevare e consolare l’uomo.
Il suo è un decadentismo umanistico, volto a dare senso e ordine al caos dell’esistenza.
L’impegno civile e patriottico
Negli ultimi anni, Pascoli mostra anche un volto più civico e impegnato.
Partecipa al dibattito politico e culturale dell’Italia post-unitaria.
Nel 1911 scrive il poema Inno a Roma e pronuncia il celebre discorso La grande Proletaria si è mossa, a favore dell’impresa coloniale in Libia.
Non è un nazionalista nel senso tradizionale, ma un idealista che crede nella missione civilizzatrice del paese.
Mantiene, tuttavia, sempre un forte spirito pacifista e solidaristico.
Nel suo cuore alberga la speranza in un mondo più giusto e fraterno.
La morte e i funerali di Giovanni Pascoli
Nel 1912 la salute di Pascoli peggiora rapidamente.
Soffre di cirrosi epatica, forse aggravata da un tumore allo stomaco.
Il 6 aprile, Sabato Santo, muore nella sua casa di Bologna, in via dell’Osservanza.
Ha appena compiuto 56 anni.
La sorella Maria veglia su di lui fino all’ultimo istante.
Pascoli viene sepolto nella cappella annessa alla sua casa di Castelvecchio Pascoli.
Accanto a lui riposerà anche Mariù, sua fedele compagna di vita e curatrice delle sue opere.