29 marzo 2003. Muore Carlo Urbani, il medico che scoprì il SARS virus.

Carlo Urbani nasce il 19 ottobre 1956 a Castelplanio, nelle Marche. Fin da ragazzo dimostra una sensibilità profonda per il prossimo, partecipando a campi di volontariato con Mani Tese e Unitalsi.
Organizza raccolte di farmaci per l’Africa e campi estivi per ragazzi disabili, coltivando una visione del mondo fondata sulla giustizia e sull’aiuto concreto. Forma un gruppo di giovani impegnati in riflessioni sul Terzo Mondo, ponendo già allora le basi della sua futura missione globale.
Gli studi e l’inizio della carriera medica
Si laurea in Medicina nel 1981 all’Università di Ancona. Prosegue la formazione specializzandosi in malattie infettive e tropicali all’Università di Messina. Ottiene anche un master in parassitologia tropicale. Dal 1986 al 1989 dirige un ambulatorio a Castelplanio, il suo paese d’origine.
Nel 1993 comincia la collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), aprendo il suo cammino sulla scena internazionale.
L’ingresso in Medici senza frontiere e l’impegno umanitario
Nel 1996 entra in Medici senza frontiere, partecipando al primo progetto in Cambogia. Si occupa della lotta alle malattie parassitarie endemiche, come la schistosomiasi. Viaggia tra villaggi remoti, spesso accompagnato da scorte per il pericolo dei Khmer rossi, senza mai tirarsi indietro.
Insegna alle popolazioni locali le pratiche di prevenzione, cura e igiene, costruendo un modello di sanità sostenibile e partecipata.
Nel 1999 diventa presidente della sezione italiana di MSF e ritira il Premio Nobel per la Pace a nome dell’associazione.
Con i fondi ricevuti crea un programma per garantire l’accesso ai farmaci nei Paesi più poveri.
La missione in Vietnam e la scoperta della SARS
Nel 2000 riceve l’incarico di consulente dell’OMS in Vietnam per il controllo delle malattie parassitarie nel Pacifico occidentale.
La sua competenza e prontezza consentono al Vietnam di essere il primo Paese al mondo a dichiarare la SARS debellata.
Il 28 febbraio 2003 Carlo Urbani visita un paziente colpito da una strana forma di polmonite. Comprende subito che si tratta di un nuovo e pericoloso virus. Lancia l’allarme all’OMS e convince le autorità locali ad attivare una severa quarantena. Questo gesto, decisivo, consente di contenere l’epidemia fin dai primi giorni.
Il contagio, l’isolamento e l’ultimo gesto d’amore
L’11 marzo 2003, durante un volo verso Bangkok, Urbani comincia a manifestare i primi sintomi della malattia. All’arrivo chiede di essere subito ricoverato e messo in quarantena. Sa di aver contratto il virus e sceglie consapevolmente l’isolamento per proteggere gli altri.
Chiede ai medici di prelevare campioni dei suoi tessuti polmonari, per contribuire alla ricerca scientifica.
Dopo 19 giorni di lotta, muore il 29 marzo 2003, lasciando la moglie Giuliana e i tre figli: Tommaso, Luca e Maddalena. In Vietnam, grazie al suo intervento tempestivo, si contano solo cinque vittime: lui e altri quattro operatori sanitari. Il metodo che mise in atto resta ancora oggi il modello adottato dall’OMS per affrontare nuove pandemie.
Un’eredità che vive
In suo onore, il ceppo di coronavirus responsabile della SARS viene denominato “Urbani”. In Italia, molte strade, scuole e ospedali portano il suo nome. A Jesi gli è dedicato l’ospedale cittadino, così come un istituto scolastico comprensivo. Nel 2023, Castelplanio inaugura un museo a lui intitolato. All’università La Sapienza di Roma, l’aula principale del Policlinico Sant’Andrea porta il suo nome. Nel Giardino dei Giusti di Milano è ricordato con una targa che onora il suo sacrificio.
Carlo Urbani nasce il 19 ottobre 1956 a Castelplanio, nelle Marche. Fin da ragazzo dimostra una sensibilità profonda per il prossimo, partecipando a campi di volontariato con Mani Tese e Unitalsi.
Organizza raccolte di farmaci per l’Africa e campi estivi per ragazzi disabili, coltivando una visione del mondo fondata sulla giustizia e sull’aiuto concreto. Forma un gruppo di giovani impegnati in riflessioni sul Terzo Mondo, ponendo già allora le basi della sua futura missione globale.
Gli studi e l’inizio della carriera medica
Si laurea in Medicina nel 1981 all’Università di Ancona. Prosegue la formazione specializzandosi in malattie infettive e tropicali all’Università di Messina. Ottiene anche un master in parassitologia tropicale. Dal 1986 al 1989 dirige un ambulatorio a Castelplanio, il suo paese d’origine.
Nel 1993 comincia la collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), aprendo il suo cammino sulla scena internazionale.
L’ingresso in Medici senza frontiere e l’impegno umanitario
Nel 1996 entra in Medici senza frontiere, partecipando al primo progetto in Cambogia. Si occupa della lotta alle malattie parassitarie endemiche, come la schistosomiasi. Viaggia tra villaggi remoti, spesso accompagnato da scorte per il pericolo dei Khmer rossi, senza mai tirarsi indietro.
Insegna alle popolazioni locali le pratiche di prevenzione, cura e igiene, costruendo un modello di sanità sostenibile e partecipata.
Nel 1999 diventa presidente della sezione italiana di MSF e ritira il Premio Nobel per la Pace a nome dell’associazione.
Con i fondi ricevuti crea un programma per garantire l’accesso ai farmaci nei Paesi più poveri.
La missione in Vietnam e la scoperta della SARS
Nel 2000 riceve l’incarico di consulente dell’OMS in Vietnam per il controllo delle malattie parassitarie nel Pacifico occidentale.
La sua competenza e prontezza consentono al Vietnam di essere il primo Paese al mondo a dichiarare la SARS debellata.
Il 28 febbraio 2003 Carlo Urbani visita un paziente colpito da una strana forma di polmonite. Comprende subito che si tratta di un nuovo e pericoloso virus. Lancia l’allarme all’OMS e convince le autorità locali ad attivare una severa quarantena. Questo gesto, decisivo, consente di contenere l’epidemia fin dai primi giorni.
Il contagio, l’isolamento e l’ultimo gesto d’amore
L’11 marzo 2003, durante un volo verso Bangkok, Urbani comincia a manifestare i primi sintomi della malattia. All’arrivo chiede di essere subito ricoverato e messo in quarantena. Sa di aver contratto il virus e sceglie consapevolmente l’isolamento per proteggere gli altri.
Chiede ai medici di prelevare campioni dei suoi tessuti polmonari, per contribuire alla ricerca scientifica.
Dopo 19 giorni di lotta, muore il 29 marzo 2003, lasciando la moglie Giuliana e i tre figli: Tommaso, Luca e Maddalena. In Vietnam, grazie al suo intervento tempestivo, si contano solo cinque vittime: lui e altri quattro operatori sanitari. Il metodo che mise in atto resta ancora oggi il modello adottato dall’OMS per affrontare nuove pandemie.
Un’eredità che vive
In suo onore, il ceppo di coronavirus responsabile della SARS viene denominato “Urbani”. In Italia, molte strade, scuole e ospedali portano il suo nome. A Jesi gli è dedicato l’ospedale cittadino, così come un istituto scolastico comprensivo. Nel 2023, Castelplanio inaugura un museo a lui intitolato. All’università La Sapienza di Roma, l’aula principale del Policlinico Sant’Andrea porta il suo nome. Nel Giardino dei Giusti di Milano è ricordato con una targa che onora il suo sacrificio.