27 marzo 2002. Muore Billy Wilder, il regista della commedia brillante.

Billy Wilder nasce il 22 giugno 1906 a Sucha, una cittadina della Galizia austro-ungarica, oggi in Polonia. Cresce in una famiglia ebrea di origini polacche, circondato da un ambiente culturalmente vivace. Fin da giovane sviluppa una passione per il giornalismo, che lo spinge a trasferirsi a Vienna e poi a Berlino. Qui lavora per alcuni quotidiani, ma il fermento artistico della capitale tedesca lo avvicina al mondo del cinema.
Inizia così la sua carriera come sceneggiatore, collaborando con registi del calibro di Robert Siodmak e Fred Zinnemann.
L’esilio forzato e l’approdo a Hollywood
Con l’ascesa del nazismo nel 1933, Wilder fugge dalla Germania per evitare le persecuzioni antisemite. Dopo una breve tappa a Parigi, dove dirige il suo primo film, si stabilisce definitivamente negli Stati Uniti. A Hollywood trova una nuova casa grazie al supporto di colleghi e connazionali emigrati.
Ben presto si afferma come uno degli sceneggiatori più brillanti, firmando “Ninotchka” nel 1939 con Greta Garbo. La sua collaborazione con Charles Brackett segna una fase d’oro, culminando in nomination agli Oscar già nei primi anni Quaranta.
Il debutto da regista e i primi capolavori
Nel 1942 Billy Wilder dirige il suo primo film hollywoodiano, “Frutto proibito”, con Ginger Rogers. Già in questa commedia si intravede il suo tocco ironico e sofisticato, fatto di dialoghi taglienti e situazioni brillanti. L’anno seguente firma “I cinque segreti del deserto”, film di guerra dal forte impatto politico.
Con “La fiamma del peccato” del 1944 entra nella storia del noir, affiancato da Raymond Chandler alla sceneggiatura. Nel 1945 vince i suoi primi due Oscar grazie al dramma alcolico “Giorni perduti”, un’opera intensa e coraggiosa.
L’età dell’oro: tra noir e commedia
Negli anni Cinquanta, Wilder colleziona una serie di capolavori senza tempo. Con “Viale del tramonto” (1950) racconta il declino del cinema muto e degli attori dimenticati, ottenendo grande successo di critica.
Nel 1953 gira “Stalag 17”, una commedia bellica in cui brilla il talento di William Holden, premiato con l’Oscar. Ma è nel 1959 che conquista l’immortalità cinematografica con “A qualcuno piace caldo”, commedia perfetta con Marilyn Monroe, Jack Lemmon e Tony Curtis.
Il suo stile, ispirato all’eleganza di Lubitsch, trova piena maturità nel capolavoro successivo, “L’appartamento”, che nel 1961 gli vale cinque Oscar.
Collaborazioni celebri e uno sguardo lucido sull’America
Wilder lavora con attori iconici come Marilyn Monroe, Audrey Hepburn, James Stewart, Walter Matthau e Jack Lemmon.
Con quest’ultimo forma un sodalizio che durerà decenni e darà vita a pellicole come “Irma la dolce”, “Non per soldi… ma per denaro” e “Prima pagina”. Nel 1954 firmerà la regia del mitico Sabrina interpretato da Audrey Hepburn, Humphrey Bogart e William Holden.
La sua visione dell’America è sempre ironica, a volte cinica, ma profondamente umana. Critica il perbenismo, il consumismo e l’ambizione cieca, ma senza mai perdere il gusto per la battuta arguta. Tra commedie e drammi, costruisce una filmografia che sa far ridere e riflettere allo stesso tempo.
Il ritiro dalle scene e l’eredità artistica
Negli anni Settanta e Ottanta continua a dirigere film, anche se con minore fortuna rispetto al passato.
“Gli ultimi fuochi” della sua carriera comprendono “Fedora” (1978) e “Buddy Buddy” (1981), con la coppia Lemmon-Matthau.
Dopo quest’ultima regia, decide di ritirarsi e dedicarsi alla scrittura e alla pittura.
Nonostante il silenzio creativo, il suo influsso resta fortissimo su generazioni di registi, da Woody Allen a Wes Anderson.
La sua ironia, la sua intelligenza visiva e la sua maestria nel dirigere attori rimangono un modello insuperabile.
La morte e l’eredità artistica
Billy Wilder muore il 27 marzo 2002 a Beverly Hills, all’età di 95 anni, per una polmonite. Viene sepolto nel Westwood Memorial Park di Los Angeles, accanto ad altri grandi del cinema. Sulla sua tomba si legge l’epitaffio ironico che lui stesso aveva scelto:
“I’m a writer, but then nobody’s perfect” – “Sono uno scrittore, ma dopotutto nessuno è perfetto”.
Una battuta tratta proprio da “A qualcuno piace caldo”, simbolo della sua genialità e del suo spirito immortale.
Billy Wilder nasce il 22 giugno 1906 a Sucha, una cittadina della Galizia austro-ungarica, oggi in Polonia. Cresce in una famiglia ebrea di origini polacche, circondato da un ambiente culturalmente vivace. Fin da giovane sviluppa una passione per il giornalismo, che lo spinge a trasferirsi a Vienna e poi a Berlino. Qui lavora per alcuni quotidiani, ma il fermento artistico della capitale tedesca lo avvicina al mondo del cinema.
Inizia così la sua carriera come sceneggiatore, collaborando con registi del calibro di Robert Siodmak e Fred Zinnemann.
L’esilio forzato e l’approdo a Hollywood
Con l’ascesa del nazismo nel 1933, Wilder fugge dalla Germania per evitare le persecuzioni antisemite. Dopo una breve tappa a Parigi, dove dirige il suo primo film, si stabilisce definitivamente negli Stati Uniti. A Hollywood trova una nuova casa grazie al supporto di colleghi e connazionali emigrati.
Ben presto si afferma come uno degli sceneggiatori più brillanti, firmando “Ninotchka” nel 1939 con Greta Garbo. La sua collaborazione con Charles Brackett segna una fase d’oro, culminando in nomination agli Oscar già nei primi anni Quaranta.
Il debutto da regista e i primi capolavori
Nel 1942 Billy Wilder dirige il suo primo film hollywoodiano, “Frutto proibito”, con Ginger Rogers. Già in questa commedia si intravede il suo tocco ironico e sofisticato, fatto di dialoghi taglienti e situazioni brillanti. L’anno seguente firma “I cinque segreti del deserto”, film di guerra dal forte impatto politico.
Con “La fiamma del peccato” del 1944 entra nella storia del noir, affiancato da Raymond Chandler alla sceneggiatura. Nel 1945 vince i suoi primi due Oscar grazie al dramma alcolico “Giorni perduti”, un’opera intensa e coraggiosa.
L’età dell’oro: tra noir e commedia
Negli anni Cinquanta, Wilder colleziona una serie di capolavori senza tempo. Con “Viale del tramonto” (1950) racconta il declino del cinema muto e degli attori dimenticati, ottenendo grande successo di critica.
Nel 1953 gira “Stalag 17”, una commedia bellica in cui brilla il talento di William Holden, premiato con l’Oscar. Ma è nel 1959 che conquista l’immortalità cinematografica con “A qualcuno piace caldo”, commedia perfetta con Marilyn Monroe, Jack Lemmon e Tony Curtis.
Il suo stile, ispirato all’eleganza di Lubitsch, trova piena maturità nel capolavoro successivo, “L’appartamento”, che nel 1961 gli vale cinque Oscar.
Collaborazioni celebri e uno sguardo lucido sull’America
Wilder lavora con attori iconici come Marilyn Monroe, Audrey Hepburn, James Stewart, Walter Matthau e Jack Lemmon.
Con quest’ultimo forma un sodalizio che durerà decenni e darà vita a pellicole come “Irma la dolce”, “Non per soldi… ma per denaro” e “Prima pagina”. Nel 1954 firmerà la regia del mitico Sabrina interpretato da Audrey Hepburn, Humphrey Bogart e William Holden.
La sua visione dell’America è sempre ironica, a volte cinica, ma profondamente umana. Critica il perbenismo, il consumismo e l’ambizione cieca, ma senza mai perdere il gusto per la battuta arguta. Tra commedie e drammi, costruisce una filmografia che sa far ridere e riflettere allo stesso tempo.
Il ritiro dalle scene e l’eredità artistica
Negli anni Settanta e Ottanta continua a dirigere film, anche se con minore fortuna rispetto al passato.
“Gli ultimi fuochi” della sua carriera comprendono “Fedora” (1978) e “Buddy Buddy” (1981), con la coppia Lemmon-Matthau.
Dopo quest’ultima regia, decide di ritirarsi e dedicarsi alla scrittura e alla pittura.
Nonostante il silenzio creativo, il suo influsso resta fortissimo su generazioni di registi, da Woody Allen a Wes Anderson.
La sua ironia, la sua intelligenza visiva e la sua maestria nel dirigere attori rimangono un modello insuperabile.
La morte e l’eredità artistica
Billy Wilder muore il 27 marzo 2002 a Beverly Hills, all’età di 95 anni, per una polmonite. Viene sepolto nel Westwood Memorial Park di Los Angeles, accanto ad altri grandi del cinema. Sulla sua tomba si legge l’epitaffio ironico che lui stesso aveva scelto:
“I’m a writer, but then nobody’s perfect” – “Sono uno scrittore, ma dopotutto nessuno è perfetto”.
Una battuta tratta proprio da “A qualcuno piace caldo”, simbolo della sua genialità e del suo spirito immortale.