26 marzo 1980. Muore Macario, attore simbolo della rivista italiana.

Macario, all’anagrafe Erminio Macario, nasce a Torino il 27 maggio 1902 in una famiglia povera e numerosa.
Fin da piccolo mostra talento per la recitazione, ma deve interrompere la scuola per aiutare la famiglia.
Dopo un anno alla FIAT, entra a 18 anni in una compagnia di “scavalcamontagne”.
Nel 1924 debutta nel varietà, coltivando la sua arte mimica e clownesca.
Il trampolino con Isa Bluette
Nel 1925 viene notato dalla soubrette Isa Bluette, che lo porta nella sua compagnia.
Macario affina la sua comicità grottesca e diventa presto una maschera riconoscibile.
Costruisce una figura comica inconfondibile: ciuffo ribelle, occhi sgranati e passo ciondolante.
Dal 1929 firma le sue prime riviste come autore e comincia a farsi un nome.
La nascita del “Re della rivista”
Nel 1930 fonda una sua compagnia teatrale e gira l’Italia per oltre trent’anni.
Collabora con Wanda Osiris e lancia numerose soubrette, da Sandra Mondaini a Isa Barzizza.
Macario diventa sinonimo di rivista, grazie alla sua comicità candida e surreale.
I suoi spettacoli uniscono comicità, scenografie spettacolari, e soubrette brillanti.
Il successo cinematografico
Esordisce al cinema nel 1933 con Aria di paese, ma il successo arriva con Imputato, alzatevi! (1939).
Con quel film, considerato da molti l’inizio del cinema comico italiano, esplode al grande pubblico.
Segue una lunga serie di pellicole come Non me lo dire! e Il pirata sono io! con la collaborazione di un giovane Fellini.
Negli anni ’40 e ’50 alterna cinema e teatro con enorme successo, dando vita a opere come Febbre azzurra e Oklabama.
Anni ’50 e ’60: il passaggio alla commedia musicale
Con l’affermarsi di nuovi gusti, Macario si adatta alla commedia musicale.
Realizza spettacoli come Non sparate alla cicogna e E tu biondina, al fianco di Sandra Mondaini.
Al cinema continua a riscuotere consensi con Come persi la guerra e L’eroe della strada.
Negli anni ’60 recita al fianco di Totò in sei film, stabilendo un sodalizio affettuoso e artistico.
Teatro, prosa e televisione
Negli anni ’70 si dedica con successo al teatro di prosa e alla commedia in piemontese.
Porta in scena Le miserie ’d Monsù Travet e altri testi classici rielaborati con il suo stile.
In televisione partecipa a Milleluci con Mina e Carrà e conduce varietà come Macario uno e due.
Inaugura anche un proprio teatro a Torino, “La Bomboniera”, nel 1977, coronando un sogno personale.
La morte e i funerali
Durante l’ultima replica dello spettacolo Oplà, giochiamo insieme, Macario accusa un malore.
Il 26 marzo 1980 muore a 77 anni in una clinica torinese, assistito dalla moglie Giulia Dardanelli.
Il funerale si svolge il 28 marzo nella chiesa di San Dalmazzo.
Riposa al cimitero monumentale di Torino.
Dopo la sua morte, Macario non riceve da Torino il riconoscimento che avrebbe meritato.
Solo anni dopo alcuni comuni gli intitolano piazze e vie.
Nel 2002 nasce l’associazione MacarioCult e nel 2022 viene emesso un francobollo celebrativo.
La sua maschera gentile, surreale e profondamente popolare resta simbolo di un’epoca d’oro dello spettacolo italiano.
Macario, all’anagrafe Erminio Macario, nasce a Torino il 27 maggio 1902 in una famiglia povera e numerosa.
Fin da piccolo mostra talento per la recitazione, ma deve interrompere la scuola per aiutare la famiglia.
Dopo un anno alla FIAT, entra a 18 anni in una compagnia di “scavalcamontagne”.
Nel 1924 debutta nel varietà, coltivando la sua arte mimica e clownesca.
Il trampolino con Isa Bluette
Nel 1925 viene notato dalla soubrette Isa Bluette, che lo porta nella sua compagnia.
Macario affina la sua comicità grottesca e diventa presto una maschera riconoscibile.
Costruisce una figura comica inconfondibile: ciuffo ribelle, occhi sgranati e passo ciondolante.
Dal 1929 firma le sue prime riviste come autore e comincia a farsi un nome.
La nascita del “Re della rivista”
Nel 1930 fonda una sua compagnia teatrale e gira l’Italia per oltre trent’anni.
Collabora con Wanda Osiris e lancia numerose soubrette, da Sandra Mondaini a Isa Barzizza.
Macario diventa sinonimo di rivista, grazie alla sua comicità candida e surreale.
I suoi spettacoli uniscono comicità, scenografie spettacolari, e soubrette brillanti.
Il successo cinematografico
Esordisce al cinema nel 1933 con Aria di paese, ma il successo arriva con Imputato, alzatevi! (1939).
Con quel film, considerato da molti l’inizio del cinema comico italiano, esplode al grande pubblico.
Segue una lunga serie di pellicole come Non me lo dire! e Il pirata sono io! con la collaborazione di un giovane Fellini.
Negli anni ’40 e ’50 alterna cinema e teatro con enorme successo, dando vita a opere come Febbre azzurra e Oklabama.
Anni ’50 e ’60: il passaggio alla commedia musicale
Con l’affermarsi di nuovi gusti, Macario si adatta alla commedia musicale.
Realizza spettacoli come Non sparate alla cicogna e E tu biondina, al fianco di Sandra Mondaini.
Al cinema continua a riscuotere consensi con Come persi la guerra e L’eroe della strada.
Negli anni ’60 recita al fianco di Totò in sei film, stabilendo un sodalizio affettuoso e artistico.
Teatro, prosa e televisione
Negli anni ’70 si dedica con successo al teatro di prosa e alla commedia in piemontese.
Porta in scena Le miserie ’d Monsù Travet e altri testi classici rielaborati con il suo stile.
In televisione partecipa a Milleluci con Mina e Carrà e conduce varietà come Macario uno e due.
Inaugura anche un proprio teatro a Torino, “La Bomboniera”, nel 1977, coronando un sogno personale.
La morte e i funerali
Durante l’ultima replica dello spettacolo Oplà, giochiamo insieme, Macario accusa un malore.
Il 26 marzo 1980 muore a 77 anni in una clinica torinese, assistito dalla moglie Giulia Dardanelli.
Il funerale si svolge il 28 marzo nella chiesa di San Dalmazzo.
Riposa al cimitero monumentale di Torino.
Dopo la sua morte, Macario non riceve da Torino il riconoscimento che avrebbe meritato.
Solo anni dopo alcuni comuni gli intitolano piazze e vie.
Nel 2002 nasce l’associazione MacarioCult e nel 2022 viene emesso un francobollo celebrativo.
La sua maschera gentile, surreale e profondamente popolare resta simbolo di un’epoca d’oro dello spettacolo italiano.