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Napoli. I misteri del cimitero delle Fontanelle.

Il cimitero delle Fontanelle è un luogo che parla di storia e di leggende. Si trova nel cuore di Napoli, nel rione Sanità, ed è un ossario che raccoglie moltissimi resti, perlopiù relativi a due grandi epidemie: la peste del 1654 e il colera del 1837. Le Fontanelle rappresentano sicuramente una meta da visitare per tutti coloro che amano il gotico, ma non solo. È infatti oggetto di misteri, di consapevolezze, ma anche di “si dice”. E tutto questo contribuisce a un ricco mosaico fatto di tradizioni popolari e di fascino dai risvolti dark.
Si tratta di un ossario, perlopiù con resti anonimi, sorto nel XVI secolo dell’ampiezza di 3.000 metri quadrati. È storia nota che prima dell’editto di Saint Cloud, nel 1804, i morti venissero seppelliti nelle città, nello specifico sotto le chiese. Tuttavia lo spazio a disposizione era esiguo rispetto alle necessità, per cui c’erano dei lavoratori, chiamati “salmatari”, che nottetempo esumavano i resti più antichi seppelliti sotto gli edifici religiosi per trasportali verso gli ossari. Uno di questi è appunto il cimitero delle Fontanelle, ricavato in un’ex cava di tufo. I resti del cimitero provengono soprattutto da disastri di massa, come le due epidemie sopracitate, ma anche diverse eruzioni del Vesuvio, rivolte popolari sedate nel sangue e carestie. E appartengono soprattutto a popolani, anche se non mancano i “vip”, come i duchi di Maddaloni – ossia Filippo Carafa e la moglie Margherita Petrucci – entrambi morti alla fine del XVIII secolo e ancora oggi esposti all’interno delle loro bare vetrate.
Il cimitero delle Fontanelle però non conserva integralmente tutti i resti delle persone che vi furono trasportate. Questo è dovuto a un fenomeno antico, successivamente bandito dalla Chiesa come forma di idolatria, chiamato il culto delle anime “pezzentelle”. In pratica, le persone “adottavano” i teschi presenti nell’ossario per aiutarle tramite la preghiera nel viaggio dal Purgatorio al Paradiso. Col tempo il fenomeno si trasformò in vero e proprio feticismo – ci fu anche chi depredò i resti – che venne meno con l’avanzare della scienza e quindi lo scemare delle superstizioni. Ci sono moltissime cose da vedere, dalla chiesa posta al suo interno, a un Cristo velato che riprende le fattezze della celebre statua partenopea, fino alle sepolture “tematiche” come quella degli appestati e la statua acefala del cosiddetto “monacone”, ossia san Vincenzo Ferrer. Tra i teschi c’è “‘o capa ‘e Pascale”, appartenuto a un monaco: il teschio pare possa prevedere quali numeri verranno estratti al lotto. E c’è anche Donna Concetta, il cui teschio sembra sudare, ma in realtà assorbe più facilmente l’umidità del luogo di esposizione. A Donna Concetta, chiamata “‘a capa che suda”, si suole esprimere un desiderio: se toccando il teschio la propria mano si bagna, il desiderio sarà esaudito. Ma la leggenda più nota è quella relativa al Capitano, che viene raccontata secondo differenti vulgate. Quella più celebre spiega che una giovane si fosse rivolta al Capitano per trovare marito, e così avvenne. Ma il giorno del matrimonio uno sconosciuto molto elegante si presentò alle nozze, ammiccando alla sposa e provocando la gelosia del neo marito, che lo colpì a un occhio con un pugno. Quando la giovane tornò successivamente al cimitero, scoprì che una delle orbite del teschio del Capitano era diventata nera. E, come spesso accade nelle leggende di questo tipo, si gridò al miracolo.

fonte: ilgiornale.it

 

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