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Rovigo. Morto in casa: odissea per le esequie.

Dieci ore sul letto senza vita, mentre i figli disperati per il lutto cercano invano un’agenzia funebre disponibile a trasportarlo in obitorio. E se non c’è alcun obbligo normativo per l’imprenditore di pompe funebri, se non è l’autorità sanitaria a ordinarlo, a rispondere alle esigenze anche sanitarie di una famiglia in difficoltà economiche, qualche dubbio sull’etica di certe aziende viene.
Il lutto in una famiglia bassopolesana è avvenuto il 30 gennaio scorso. Il padre di famiglia, quasi 80enne, la mattina all’improvviso smette di respirare. La figlia prova a rianimarlo, mentre aspetta i sanitari. Ci provano per mezz’ora anche i medici, ma nulla da fare. Per la cartella clinica l’80enne è morto di morte naturale. Visto che la salma non è a rischio decomposizione, i sanitari invitano moglie e figli a salutare il caro defunto e a rivolgersi a un’agenzia di pompe funebri. Stiamo parlando di una famiglia che però vive in una casa Ater. La mamma percepisce una pensione di invalidità di 370 euro, la figlia lavora stagionalmente, da luglio a novembre, e non guadagna abbastanza per arrivare dignitosamente a fine mese.
Il giro delle imprese funebri toglie ogni dignità. “La prima agenzia ha detto che il funerale costava 3mila euro e che si sarebbero mossi solo con un anticipo di 1.500 euro. La seconda ha detto che se non avevamo i soldi saremmo dovuti andare in banca a farci fare un finanziamento. Hanno detto anche di andare in Comune. Ma ci avrebbero messo giorni per deliberare il sussidio”. Una disperazione nella disperazione, anche perché nel frattempo il corpo va in decomposizione ed è una lotta contro il tempo che leva ogni dignità a quel passaggio dalle cose terrene a quelle ultraterrene, alla spiritualità. “Alla fine ci ha aiutato una terza agenzia funebre del Veneziano. Dobbiamo ringraziare queste persone che si sono dimostrate umane. Ma mi chiedo se è giusto che un morto non abbia diritto a un funerale. Nemmeno venirlo a prendere”.

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