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Milano. Dalle periferie al centro: il funerale rinviato dalle ferie.

Sono entrato all’istituto della Baggina, ed è di nuovo un vecchietto che mi svela una sfaccettatura milanese: è candido in pantaloni celesti e maglioncino uguale, ha dipinta in faccia la meraviglia: “non me l’aspettavo“, dice, e mi viene da pensare che la morte sia beffarda, arriva d’estate, ti sorprende mentre te ne stai nella penombra del soggiorno, col viso illuminato dalle intermittenze della luce di un televisore. “Non ce l’aspettavamo“, associa qualcuno a sé, che indica col braccio teso oltre la porta dell’hospice. Parla con un uomo, impassibile dentro il suo completo blu, leggero, di una ditta di pompe funebri; non suda, nonostante il caldo, che anche questo è un mistero, che quelli dei funerali sono eroi indispensabili, non soffrono né il caldo né il freddo, non arricciano il naso, non si arrabbiano e rispondono sempre, a ogni questione, anche la più insulsa, che Dio per questo li ha creati, per far lieve la dipartita. Il vecchietto si attacca al cellulare, si capisce che parla col figlio, e si capisce che ha perso la moglie, si commuove, poi guarda l’uomo in blu e affronta il tema: il giorno fissato per il funerale. Il figlio è già in vacanza, con moglie e figli, ne ha da godere per una settimana, non vorrebbe perdere le ferie pagate in anticipo e affrontare spese ingenti per un rientro anticipato.

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