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Alzheimer Fest. Il vuoto che ha lasciato il mio papà, il tesoro che mi dona l’arte terapia.

Un pomeriggio, dopo la mancanza di mio papà, ho tracciato nell’aria una forma circolare e cilindrica. Il braccio destro mi si è mosso inconsciamente mentre parlavo con una persona che me lo ha fatto notare. Avevo bisogno di dare un’immagine a quel vuoto. Un corpo. una posizione nello spazio. Avevo bisogno di vedere la mancanza. Di connotarla. Di portarla fuori da me. per guardarci negli occhi. Quello sguardo che tanti anni prima non riuscivo più a incrociare col mio papà. Prima di sapere. Pur sapendo nel profondo. Perché le emozioni hanno un potere anticipatorio di ciò che già è in corso e che non è ancora manifesto. Quel dolore sordo e taciuto e schiacciato del non riuscire a guardare negli occhi mio papà, si è sciolto grazie ad un linguaggio diverso che ci ha avvicinato e ri-avvicinato in un corpo proprio. Un insieme di parti e di nostri elementi in divenire verso il nostro obiettivo comune: sentirci. Percepirci. Esserci. Scambiarci nozioni. Relazionarci.

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