“Te ccà, chista è tua madre”, le disse l’operaio del cimitero dei Rotoli di Palermo mostrandole un mucchietto di ossa preso a casaccio dalla tomba. Quei resti, testimonianza della caducità umana, la signora Rita non li aveva riconosciuti. Aveva cercato invano in quel cumulo di bare e ossa ammassate senza ordine alcuno un segno distintivo della mamma morta un ventennio prima. Si aspettava di trovare almeno i frammenti del vestito che indossava il giorno in cui le diede l’ultimo bacio. Non poteva essersi sbagliata, gelosa com’era stata nel custodire la cintura di quell’abito “marrone a fantasia”.
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