Fin dai tempi più remoti, quando l’essere umano camminava in punta di piedi sulla Terra e lo spettacolo più stupefacente era la Natura, prendersi cura dei propri cari defunti era più che un atto d’amore: si trattava di un rito importante, facente parte nel naturale corso della vita. La morte non era qualcosa da eliminare, da scacciare o da temere, ma una fase verso cui esprimere il massimo rispetto. I defunti venivano cosparsi di ocra rossa, adagiati in tombe e accompagnati – nel viaggio verso l’aldilà – da oggetti familiari o doni rituali. E a questi riti partecipava l’intera comunità. Oggi, tutto questo, non si è perso: ha preso un’altra forma. Una forma professionale, meno spirituale forse, ma ugualmente rituale: cambiano i nomi, gli strumenti, l’epoca storica, ma il significato dei gesti è sempre il medesimo. Parliamo di un mestiere particolare, che in epoche remote avrebbe sicuramente richiamato in mente vestali e sacerdoti, ma che oggi è visto come una cosa non comune. Annalisa Zirattu Reni, 35 anni, è una da delle poche tanatoestete della Sardegna: sicuramente l’unica ad Olbia. Cosa fa una tanatoesteta? Si prende cura del corpo senza vita di una persona. Lo lava, lo veste, lo profuma e, quando necessario, lo trucca o lo ricostruisce, ma soprattutto lo restituisce con amore e bellezza alla famiglia per l’ultimo sofferto saluto. A qualcuno sembrerà strano, o peggio addirittura blasfemo, che si possa parlare di “trucco” per un corpo senza vita. Eppure, la tanatoestetica affonda le radici proprio negli antichissimi riti dei nostri antenati. “Il rito funebre è molto importante per l’elaborazione del lutto”, spiega Annalisa Zirattu Reni. “Il tanatoesteta dà al defunto l’aspetto di una persona che dorme serenamente. Non è che ciò fa scomparire il dolore in chi rimane, ma lo rende un po’ meno traumatico. Aiuta nel cammino dell’elaborazione del lutto“. I riti funebri, del resto, servono soprattutto ai vivi e ciò vale anche per la tanatoestetica. La morte lascia delle tracce sul corpo dei defunti. Tracce che possono essere cancellate, mitigate, rese meno evidenti dalla tanatoestetica. Bisogna poi considerare i molti casi in cui le persone non muoiono serenamente mentre dormono. Chi muore per incidente, per infarto, per una lunga malattia porta i segni di tutto questo sul corpo. Immaginate il dolore di una madre che non può salutare il proprio figlio perché è sfigurato da un incidente: un tanatoesteta qualificato può rendere possibile l’ultimo saluto a questa madre, permettendo l’inizio dell’elaborazione del lutto senza un ulteriore trauma. “Per fare questo mestiere ci vuole tanta passione, ma anche tanta professionalità. Ho preso la qualifica di primo livello nel 2012, la seconda nel 2015 presso la Scuola Superiore di Formazione per la Funeraria. La prima volta che ho truccato una persona morta avevo 17 anni. Era la sorella di mio padre e, siccome era una donna che si teneva molto in vita, vederla con quel colorito mi dispiaceva molto. Il caso che mi ha colpito di più è stata una signora morta di tumore che era stata devastata dalla malattia. O anche tutte le volte che i parenti del defunto mi hanno abbracciata, ringraziandomi. Sono delle situazioni molto forti emotivamente parlando. La cosa che più mi dà più emozione è l’espressione dei parenti quando vedono il defunto. Se fai un buon lavoro, loro si sentiranno sollevati dall’ultimo ricordo che avranno del loro caro“.
fonte: www.olbia.it