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Requiem per l’ospedalizzazione della morte?

Un lento, ma progressivo, spostamento del luogo in cui si muore dalla casa privata all’ospedale, o altra istituzione sanitaria o parasanitaria, ha contraddistinto tutti i paesi economicamente avanzati nell’arco di oltre un secolo. In alcuni di essi la crescita è stata tale che la quota di decessi in ospedale sul totale delle morti, ovvero il grado di “ospedalizzazione della morte”, ha raggiunto e superato il 70%¹. Contemporaneamente però le ricerche continuavano a mostrare che la morte “ideale” rimaneva quella in casa nel proprio letto e che, di conseguenza, la divergenza tra aspirazioni e realtà si andava approfondendo. Oggi in Italia, per esempio, oltre il 61% della popolazione dichiara che, potendo scegliere, preferirebbe morire in casa, ma solo la metà pensa che questo avverrà. Viceversa, solo il 10% vorrebbe morire in ospedale, ma la quota di chi pensa che sarà proprio questo a succedere è il 18 %². Se il divario tra desideri e previsioni è alto, quello tra previsioni e realtà lo è di più. Oggi, infatti, in Italia, le morti in ospedale sono il 42% del totale.

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